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19 ottobre 2016

Como – Comunicato sui fogli di via: “Da qui non ce ne andiamo!”

Riceviamo e pubblichiamo.


DA QUI NON CE NE ANDIAMO!
Tra Frontiere e Repressione
FOGLIO DI VIA – art. 2 del D. Lgs.159/2011
“Qualora le persone indicate nell’articolo precedente siano pericolose per la sicurezza pubblica o per la pubblica moralità e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il questore può rimandarvele con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel comune dal quale sono state allontanate. Il contravventore è punito con l’arresto da uno a sei mesi”.
Dalla seconda metà di Settembre, a seguito di alcuni episodi avvenuti in complicità e solidarietà ai migranti accampati alla stazione di Como San Giovanni, la Questura ha cominciato ad attuare le prime misure repressive nei confronti di alcuni ed alcune solidali, nella fattispecie ad ora sono stati emessi 16 fogli di via dalla città di Como, della durata da 1 a 3 anni.
Gli episodi ai quali la Polizia ha fatto riferimento per emanare queste “misure preventive” sono sostanzialmente tre: Il primo è più isolato, avvenuto in data 20 agosto, quando si diffuse in stazione la voce che il confine italo-svizzero sarebbe stato aperto, con la concomitante distribuzione e compilazione massiccia di un modulino prestampato di richiesta di asilo. Di quell’episodio la Polizia ha attribuito la responsabilità a due solidali svizzero-tedeschi, i quali, sempre secondo la Polizia, aiutarono i migranti nella compilazione di tali moduli. Nei loro confronti son stati emessi i primi due fogli di via; il secondo è legato al 5 settembre, quando alcuni solidali si sono prodigati nel distribuire del cibo ai migranti nel parco della stazione. Questa situazione ha determinato dei momenti di tensione con le Forze dell’Ordine che hanno deciso di impedire con un intervento in forze tale distribuzione e con la conseguente risposta di migranti e solidali per fermare ed ostacolare tale azione di polizia.
Evidentemente l’ autorganizzazione disturba i difensori dell’ordine costituito, che si vedono così togliere terreno da sotto i piedi, dato che con la messa in atto di questa pratica vengono delegittimati gli enti legati allo Stato, in questo caso CRI e Caritas, e si rompono quelle dinamiche di delega e dipendenza che minano la libertà dei migranti; il terzo episodio invece risale a un presidio/volantinaggio del 12 Settembre, mutato poi in un blocco del traffico in via Napoleona durato alcuni minuti, davanti a una sede della ditta Rampinini, azienda tra le tante responsabile della deportazione di questi migranti nei vari Hotspot (centri di identificazione e smistamento) del sud Italia, prevalentemente a Taranto.
Ovviamente per la Questura, chi ha aderito a queste iniziative, è un soggetto socialmente pericoloso. Il suo obbiettivo, caldamente spalleggiato dai giornali locali, è criminalizzare una parte dei solidali, tentando di isolarli e renderli più facilmente colpibili e vulnerabili, affinché la situazione torni (e resti) nella normalità pacificata che tanto si augura. Secondo la stessa logica che giustifica il campo istituzionale e le deportazioni, l’allontanare il conflitto diventa una soluzione.
Quindi, con l’emissione di queste 16 misure preventive, lo Stato con l’appoggio del suo braccio armato, la Questura, innalza l’ennesimo muro, l’ennesimo limite, l’ennesima frontiera. Da una parte pone uomini e donne che non possono muoversi liberamente passando tra una Paese e l’altro della fortezza Europa e dall’altra ci sono individui che non possono sostare in alcune città per una presunta pericolosità sociale, trovandosi così privati di rapporti, luoghi, vissuti.
La pericolosità sopracitata è presunta, in quanto l’emanazione di un foglio di via neanche richiede un’indagine in atto, ma è un provvedimento rilasciato direttamente dal Questore, in maniera spesso arbitraria.
Ciò evidenzia la natura palesemente fascista di questa misura; non a caso, il foglio di via riecheggia nemmeno troppo lontanamente alcune misure del famigerato Codice Rocco, peraltro tutt’ora in uso.
Socialmente pericoloso, quindi potenzialmente violento.
Vorremmo soffermarci un po’ di più su questa parola che tanto fa scalpore.
Violenza.
È violenza frapporsi a un reparto della GDF in assetto antisommossa per garantire la distribuzione di cibo a delle persone che vivono in uno stato di assoluta precarietà, o piuttosto lo sgombero poliziesco di un accampamento manganelli alla mano?
È violenza volantinare contro un’azienda che deporta (e come lei, tante altre) queste persone come fossero dei pacchi postali da schedare e classificare, oppure lo è la deportazione stessa?
È violenza il cercare di instaurare dei rapporti con dei e delle migranti e organizzarsi con loro riunendosi in un’assemblea, o lo è l’istituzione di un campo governativo, dove queste persone vengono stipate, schedate, oggettificate e infantilizzate?
Chiaro, solo per pochi giorni, successivamente verranno ributtati per strada e in breve tempo neanche lì sarà permesso loro di stare.
È violenza un corteo per le strade di Como, una scritta su un muro, un manifesto attacchinato abusivamente, o lo sono le ore passate in questura, l’assidua e sempre più numerosa presenza di poliziotti per le strade o lo sguardo vigile dei luccicanti occhi di vetro della video-sorveglianza?
Inoltre la repressione agisce su vari livelli, a volte più evidenti, altre più sottili.
Basta pensare al fatto che nel centro gestito dalla CRI, i solidali che prima intervenivano a Como San Giovanni, o in altri luoghi della città, per portare un aiuto materiale ai migranti, ora non hanno più la possibilità di farlo se non sottostando alle pretestuose regole, autoritarie e coercitive, che la stessa CRI impone .
Non è forse anche questa una sfumatura più subdola e sottile della repressione?
Da qui la conclusione che la repressione non riguarda solo quegli individui che i giornali tanto amano etichettare come No Borders, ma riguarda tutto quel bacino più ampio ed eterogeneo di persone che hanno portato la loro solidarietà ai e alle migranti in questi ultimi due mesi.
Noi non rispetteremo questa misura, né lasceremo che sia un pezzo di carta a dirci dove possiamo o non possiamo stare!
La solidarietà non si spezza!
Siamo noi a decidere dove e con chi stare, non certo la Questura!
“Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”
B. Brecht
Alcun* Bandit* 16/10/2016

02 ottobre 2016

Aggiornamenti da Como.


A Como il tentativo da parte della polizia di mettere i bastoni tra le ruote a chi continua a battersi per la libera circolazione di tutti e tutte prosegue ma non ottiene i risultati sperati.
La repressione non fermerà la solidarietà.

Scrivono da Como:

"Ieri, al termine del presidio contro le deportazioni, 8 compagn* sono stat* fermat* e portat* in Questura.
A 3 di loro è stato notificato l'ennesimo foglio di via.
Ad altri 2 la violazione al foglio di via.
Ad ora, siamo a 13 fogli di via emessi, ma la risposta è sempre la stessa: SIAMO NOI A DECIDERE DOVE E CON CHI STARE E NON CERTO LA QUESTURA!"

L'UNIONE EUROPEA ORDINA E PAGA, ERDOGAN ESEGUE.



"Volantino distribuito sabato 24 settembre a Bolzano, durante il corteo organizzato dalla comunità curda"


Se un uomo prendesse quotidianamente a cinghiate la moglie e un
altro gli fornisse di continuo il denaro per sostituire con cinghie
nuove quelle ormai consunte, cosa direste del secondo?
Che è un complice del primo.
Ecco. È ciò che l'Unione Europea – governo italiano compreso –
sta facendo nei confronti del regime di Erdogan e della repressione
di massa che questi conduce.
Quando la polizia turca spara contro donne, uomini e bambini che
cercano di attraversare la frontiera tra Siria e Turchia per sfuggire
alla guerra, applica alla lettera l'accordo stipulato con l'Unione
Europea per “fermare l'immigrazione irregolare”.
Quando lo Stato turco bombarda i villaggi curdi, imprigiona e
tortura i dissidenti trova da parte dell'Unione Europea un complice
silenzio: l'importante è che non ne risentano i profitti delle imprese
e delle banche occidentali.
Quando in Europa si presenta l'Isis come il male assoluto e poi si
accetta di buon grado che chi lo combatte davvero – le guerrigliere
e i guerriglieri curdi del Rojava – venga massacrato da Erdogan, il
motivo non è misterioso: l'esperimento di autorganizzazione
sociale – e di autodeterminazione femminile – in corso in Kurdistan
preoccupa i capitalisti del mondo intero più dei mercenari del
Califfato.
Se non vogliamo noi stessi scivolare nella retorica della solidarietà
a parole con la resistenza curda, dobbiamo smascherare,
denunciare e attaccare gli interessi di chi sostiene e finanzia il
regime fascista turco qui da noi.
Un esempio particolarmente significativo è quello di Unicredit,
proprietaria del 40,9% della turca Yapi Kredit Bank. L'istituto
milanese è la banca europea che fa i maggiori affari con il governo
di Erdogan. Unicredit-Yapi Kredit Bank raccoglie più del 10% dei
propri profitti miliardari in Turchia.
Ecco chi compra cinghie nuove di zecca per un massacratore di
nome Erdogan.
Spezziamo la collaborazione fra UE e Turchia!
Viva la resistenza curda!
Uniamo le lotte, distruggiamo le frontiere!
compagne e compagni